Letteratura
La prima opera in lingua sarda
La prima opera letteraria in sardo risale alla seconda metà del Quattrocento: un poemetto ispirato alla vita dei santi martiri turritani ad opera dall'arcivescovo di Sassari Antonio Cano. La produzione letteraria ebbe un notevole sviluppo nel Cinquecento, il protagonista principale fu Antonio Lo Frasso, la sua Los diez libros de Fortuna de Amor è citata nel Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. L'opera è scritta principalmente in spagnolo, ma ci sono parti scritte in catalano ed in lingua sarda. Quello del plurilinguismo è un tratto caratteristico degli scrittori sardi di quell'epoca tra cui Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara e Pietro Delitala. Delitala sceglie di scrivere in italiano, o allora toscano, e Gerolamo Araolla scrive nelle tre lingue. Ma già nel Seicento si ha una totale integrazione nel mondo iberico come dimostrato dalle opere in spagnolo dei poeti José Delitala y Castelvì, Josè Zatrilla e gli scrittori Francesco Angelo de Vico e Salvatore Vidal. Nel 1720 il Regno di Sardegna passò a Vittorio Amedeo II di Savoia e la lingua ufficiale divenne l'italiano anche se era permesso l'uso del francese. Nell'Ottocento si ha un rinnovato interesse degli autori sardi e non per la storia della Sardegna: Giovanni Spano intraprende i primi scavi archeologici, Giuseppe Manno scrive la prima grande storia generale dell'isola, Pasquale Tola pubblica importanti documenti del passato e scrive biografie di sardi illustri. Alberto La Marmora percorre l'isola in lungo in largo, studiandola nei particolari e scrivendo un'imponente opera in quattro parti intitolata Voyage en Sardaigne, pubblicata a Parigi e poi introdotta negli ambienti colti europei. Nei primi del Novecento la società sarda viene raccontata da Enrico Costa, dal poeta Sebastiano Satta e da Grazia Deledda, quest'ultima insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1926. In questo secolo accanto alla produzione letteraria va ricordata l'esperienza politica di personaggi di grande valore come Antonio Gramsci ed Emilio Lussu. Nel secondo dopoguerra emersero figure come Giuseppe Dessì con il suo Paese d'ombre. In anni più recenti vasta eco ebbero i romanzi autobiografici di Gavino Ledda Padre padrone e di Salvatore Satta Il giorno del giudizio, oltre alle opere di Sergio Atzeni e dei viventi attivi negli ultimi decenni.
La tavola di Estrzili
Essendo molto dibattuta l'esistenza e la comprensione di attestazioni dirette della lingua o lingue protosarde, le prime testimonianze scritte nell'isola risalgono al periodo fenicio-punico con documenti come la Stele di Nora o la tarda iscrizione trilingue (punico-latino-greco) di San Nicolò Gerrei, mentre la successiva provincia romana della Sardegna e Corsica vedrà l'uso quasi esclusivo del latino e la conseguente romanizzazione linguistica dell'isola, e la graduale ma profonda introduzione del greco medievale durante il controllo dell'Impero bizantino sull'isola dopo la riconquista giustinianea del 534. Il plurilinguismo, come si vedrà, sarà sempre una costante nella storia letteraria isolana: punico, greco, latino, greco bizantino, latino medioevale, volgare sardo, volgare toscano, catalano, castigliano, sassarese, corso, italiano e perfino francese, saranno le lingue in cui si cimenteranno gli autori sardi. Uno dei primi documenti della Sardegna in età romana, è il testo della Tavola di Esterzili: "Il reperto è di eccezionale importanza per l'iscrizione incisa con caratteri capitali su 27 righe: vi è riportato il decreto emanato dal Proconsole della Sardegna L. Elvio Agrippa il 18 marzo del 69 d.C. - sotto il regno dell'Imperatore Otone - per dirimere una controversia relativa ai confini tra le popolazioni dei Patulcenses Campani e dei Galillenses che hanno a più riprese infranto i limiti stabiliti. Il proconsole ordina in particolare che questi ultimi lascino le terre occupate con la violenza e li diffida dal proseguire nella ribellione. Il testo si conclude con i nomi dei componenti la seduta del consiglio deliberante e dei 7 testimoni firmatari. Il valore scientifico del reperto consiste nell'averci fatto pervenire oltre ai nomi di due delle popolazioni abitanti nella Sardegna romana una sintesi della lunghissima controversia, intercorsa tra la fine della Repubblica e la prima Età Imperiale (dalla fine del II sec. a.C. al I sec. d.C.)." La prima testimonianza di una produzione letteraria in Sardegna si ha coi carmina in greco e latino, scolpiti nel calcare della tomba-tempietto di Atilia Pomptilla, nella necropoli di Tuvixeddu di Cagliari. Il più tenero carme in lingua greca: Dalle tue ceneri, Pontilla fioriscano viole e gigli e possa tu sbocciare ancora nei petali della rosa, del croco profumato, dell'eterno amaranto e nei bei fiori della viola bianca affinché, come il narciso e il mesto amaranto, anche il tempo che ha da venire abbia sempre un tuo fiore. Infatti, quando già di Filippo lo spirito dalle sue membra stava per sciogliersi ed egli l'anima sulle labbra aveva, piegandosi sul pallido sposo, Pontilla la vita di lui con la sua scambiò. E gli Dei spezzarono un'unione così felice: per amor del suo dolce sposo morì Pontilla, vive ora contro la sua volontà Filippo, sempre anelando di poter presto confondere l'anima sua con quella della sposa che l'amò tanto.[3][4] I carmina della Grotta della Vipera sanciscono l'inizio della storia letteraria dell'isola. Dalla tarda età romana ci giungono gli scritti fortemente polemici di San Lucifero di Cagliari, strenuo difensore dell'ortodossia cattolica contro l'eresia ariana. Altri scritti di carattere teologico ci sono arrivati dal sardo Eusebio Santo Vescovo di Vercelli, coetaneo di Lucifero.
La produzione medioevale
Assai scarsa fu la produzione letteraria per tutto il medioevo: alcuni testi agiografici, in latino, in prosa e poesia, spesso ampiamente rimaneggiati nei secoli successivi, sono giunti fino a noi. Alcuni di essi hanno origini molto antiche, risalenti forse al cenobio religioso e letterario venutosi a creare a Cagliari intorno alla figura di San Fulgenzio di Ruspe, ai tempi del suo esilio durante il regno vandalo di Trasamondo. In questo periodo furono scritti in Cagliari alcuni dei più preziosi ed antichi codici dell'epoca, come forse il Codex Lausianus, contenente una o forse la più antica edizione pervenutaci degli Atti degli Apostoli e conservato oggi nella Biblioteca Bodleiana di Oxford, e il Codex Basilianus, contenente alcune opere di Sant'Ilario di Poitiers, scritto a Cagliari, come specifica la nota in calce al manoscritto e conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana[8]. Sono inoltre arrivate fino a noi le Passioni dei martiri San Saturno, San Lussorio e San Gavino, nonché le vicende agiografiche di Sant'Antioco e San Giorgio di Suelli. Caratteristica della Sardegna medioevale, dall'XI secolo, fu il precoce uso del volgare sardo negli atti dei sovrani, dei registri di monasteri o notarili, nella legislazione. Di particolare importanza per la storia dell'isola fu la promulgazione della Carta de Logu di Arborea, un codice normativo che condensava il diritto comune secolare soprattutto delle campagne, ad integrazione delle leggi romane in vigore in tutta Europa. I primi usi del volgare sardo risalgono all'XI secolo. Si tratta di atti di donazioni rivolti dai Giudici isolani ai vari ordini religiosi e dei condaghi che sono dei documenti amministrativi. Fra i testi più significativi vi sono gli Statuti Sassaresi, redatti in latino e sardo logudorese nel 1316. Il documento è diviso in tre parti: la prima riguarda il diritto pubblico, la seconda il diritto civile e la terza il diritto criminale. Questo codice fu gradualmente adottato da numerosi comuni dell'isola. Altri Comuni ebbero propri Statuti, come Cagliari e Iglesias, il cui Breve di Villa di Chiesa venne redatto in toscano. Sempre nel XIV secolo fu promulgata da Mariano IV la Carta de Logu, che non è altro che il Codice delle leggi dello Stato del Giudicato d'Arborea. La carta fu successivamente aggiornata ed ampliata da Eleonora d'Arborea, figlia di Mariano. Questo codice di leggi continua ad essere considerato uno degli esempi più innovativi e interessanti del Trecento. Non esiste una letteratura in sardo per gran parte del medioevo. Dell'epoca giudicale esistono diversi documenti in sardo costituiti in genere da atti e documenti giuridici.[10] Fra questi un cospicuo patrimonio è costituito dai condaghi e dalle diverse carte de logu. Un piccolo testo medioevale in sardo sulla storia del Giudicato di Torres, il Libellus Judicum Turritanorum, costituisce il primo testo storiografico.