Mani Sapienti
Il bisso
Il bisso è una fibra tessile di origine animale, una sorta di seta naturale marina ottenuta dai filamenti secreti da una specie di molluschi bivalvi marini (Pinna nobilis) endemica del Mediterraneo e volgarmente nota come nacchera o penna, la cui lavorazione è stata sviluppata esclusivamente nell'area mediterranea. Dal bisso si ricavavano pregiatissimi e costosi tessuti con i quali probabilmente già nell'antichità si confezionavano tessuti e vesti ostentati come veri e propri status symbol dai personaggi più influenti delle società babilonese, assira, fenicia, ebraica, greca e infine romana. Tuttavia la comunità scientifica ha sempre ritenuto che il bisso in questione fosse una qualità superiore di lino o addirittura di cotone, ignorando praticamente l'esistenza dell'omonima fibra animale. Il più antico manufatto in seta marina rinvenuto archeologicamente risale effettivamente solo al IV secolo: le fibre, riconosciute in sezione al microscopio elettronico come bisso di Pinna nobilis, vennero alla luce nel 1912 in una tomba femminile ad Aquincum (oggi Budapest), per essere poi distrutte da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale. L'oggetto più antico realizzato in bisso marino oggi disponibile è una cuffia lavorata a maglia rinvenuta nel 1978 in una campagna di scavi archeologici presso la basilica di Saint Denis a Parigi: la datazione stratigrafica la pone nel XIV secolo. Il bisso inoltre aveva spiccate proprietà terapeutiche ben conosciute dai pescatori in quanto grazie alla sua potente proprietà emostatica era usato per la medicazione delle ferite che i pescatori frequentemente si procuravano con gli arnesi da pesca. In Sardegna, nell'area di Cussorgia, tra Calasetta e Sant'Antioco, la morbida fibra dal colore bruno-dorato viene filata, tessuta e utilizzata per realizzare ancora oggi preziosissimi ricami. Sempre a Sant'Antioco permangono in attività alcune persone in grado di tessere il bisso, tra cui Chiara Vigo, i cui lavori sono stati esposti nel centro lagunare in un museo a tema, e le sorelle Giuseppina e Assuntina Pes, che hanno curato la sezione sulla seta marina presso il Museo Etnografico di Sant'Antioco. Oggi la Pinna nobilis, bivalve di grosse misure che può arrivare a un metro di lunghezza, è considerata a rischio estinzione a causa della pesca indiscriminata, dell'inquinamento e della diminuzione delle aree dove crescere. La specie è attualmente sottoposta a regime di protezione e tutela in conformità a Atti Ufficiali quali la Convenzione di Barcellona (1995), ratificata dal Governo Italiano con la legge n° 175 del 25/05/1999, e la Direttiva Habitat della Comunità Europea (43/92). Sulla base di questi atti ufficiali è proibita la raccolta, l'uccisione, la detenzione, la commercializzazione e persino l'esposizione ai fini commerciali della specie. La produzione di vero bisso è quindi praticamente inesistente. Al giorno d'oggi il termine "bisso" indica tessuti pregiati, molto leggeri e trasparenti, ad armatura tela, in cotone o lino, adatti al ricamo. Il crescente interesse di archeologi e filologi suscitato negli anni 2000 da fibre, tessuti e più in generale problematiche connesse all'industria tessile antica hanno avuto come conseguenza il fiorire di numerosi studi. Recentemente alcuni di questi hanno discusso la possibile identificazione già a partire dall'Età del Ferro della seta marina con la fibra identificata durante tutto il I millennio a.C. dal termine bisso.
Il bottone in filigrana d'oro
Con il termine filigrana ci si riferisce principalmente, in oreficeria, alla tecnica artistica consistente nella lavorazione ad intreccio di sottili fili d'oro e/o d'argento i quali, dopo la ritorcitura, vengono fissati su un supporto, anch'esso di materiale prezioso, in modo da creare un elegante effetto di struttura traforata. Il vocabolo (di origine latina: filum, filo, e granum, grano) può essere riferito anche ad un certo tipo di disegno che può essere visto su un certo tipo di carta osservato in trasparenza o in controluce. La sua origine viene fatta derivare dalla tecnica orafa piuttosto che dalla lavorazione industriale della carta. L'effetto finale di una lavorazione in filigrana avrà maggior pregio a seconda del giusto rapporto fra materiale prezioso e altra lega usati. I tipi di filigrana possono essere: • filigrana nera (o opaca) • filigrana chiara • filigrana ombrata Il bottone sardo è uno dei più rappresentativi simboli della gioielleria in filigrana e non sfugge al richiamo ancestrale della maternità, della fecondità, del bimbo da nutrire, della fortuna da attirare e del male da scacciare. Nato quasi come un gioco, il manufatto dell'antica arte orafa sarda diventa emblema dell'identità di un popolo e racconta il suo modo di affrontare il bene contrapposto al male, diventa così un amuleto che ornerà quindi i vestiti della festa perché nulla possa turbare la serenità e il clima gioioso. Sarà decorato con le pietre più preziose con il corallo con l' ossidiana come esplicito richiamo al seno femminile. La sua forma richiamerebbe secondo una diversa teoria quella del seno della dea cartaginese Tanit, venerata perché portatrice della fecondità e della fertilità. per questo ogni marito omaggiava la propria fidanzata con un una coppia di bottoni sardi da appuntare sull'abito nuziale come simbolo di augurio è di grande prosperità, con una funzione non solo estetica ma anche scaramantica.
S'arresoja
La resolza / arresoja (plurale resolzas / arresojas), anche chiamata resorja o resorza, è il tipico coltello a serramanico sardo, i cui principali e più famosi centri di produzione sono Pattada (SS) e Arbus (Sud Sardegna). Oltre alla "pattadese" (pattadesa), di rilievo è citare anche il modello "arburese" (arburesa), caratteristico per la sua forma panciuta a foglia larga: è uno dei coltelli considerati migliori per scuoiare animali o come strumento per la pratica venatoria. L'arburese fa parte della categoria dei coltelli cosiddetti monolitici. Il manico, spesso in corno di montone, viene ricavato da un monoblocco tagliato appositamente per l'alloggiamento della lama e solitamente impreziosito con sculture che spesso rappresentano la fauna sa Sa resolza era, e lo è tuttora, il tradizionale coltello sardo, e l'abilità e la maestria degli artigiani sardi hanno fatto sì che questa divenisse fonte di sostentamento e di celebrità non solo per coloro che la producono ma anche per i paesi stessi di produzione, tanto che ormai quel tipo di coltello viene detto anche "pattadese" (pattadesa) o "arburese" (arburesa). È d'uopo non confondere la resolza con la cosiddetta leppa, benché tale termine sia d'impiego ormai comune per indicare i coltelli sardi a serramanico: difatti, questa era una vera e propria sciabola di circa 60 cm con la punta incurvata verso l'alto e che, per ragioni di sicurezza personale, si portava legata alla cintola: la leppa era una lama il cui modello non trova alcun corrispettivo né in Italia, né in qualsivoglia altra parte d'Europa, esistendone di simili solo in Medio Oriente e presso alcune tribù berbere del Nordafrica. La arresoja più grande del mondo, oggi conservata nel museo del coltello sardo di Arbus, ha una lunghezza di 4,85 m ed un peso 295 kg. Entrata nel Guinness dei primati nel 1986, l'impresa è stata compiuta da Paolo Pusceddu di Arbus.