Francesco Cossiga
La gioventù
Francesco Maurizio Cossiga (Sassari, 26 luglio 1928 – Roma, 17 agosto 2010) è stato un politico, giurista e docente italiano, ottavo Presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 quando assunse, di diritto, l'ufficio di senatore a vita. Ai sensi del decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2001, ha potuto fregiarsi del titolo di presidente emerito della Repubblica Italiana. È stato Ministro dell'interno nei governi Moro V, Andreotti III e Andreotti IV dal 1976 al 1978, quando si dimise in seguito all'uccisione di Aldo Moro. Dal 1979 al 1980 fu Presidente del Consiglio dei ministri e fu Presidente del Senato della Repubblica nella IX legislatura dal 1983 al 1985, quando lasciò l'incarico perché fu eletto al Quirinale, come più giovane Capo di Stato dell'età repubblicana, dopo essere già stato fino ad allora il più giovane Sottosegretario, Ministro dell'Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente del Senato. Come Capo dello Stato ha conferito l'incarico a cinque Presidenti del Consiglio: Bettino Craxi (del quale ha respinto le dimissioni di cortesia presentate nel 1985), Amintore Fanfani (1987), Giovanni Goria (1987-1988), Ciriaco De Mita (1988-1989) e Giulio Andreotti (1989-1992). Ha nominato cinque senatori a vita (Francesco De Martino, Giovanni Spadolini, Giulio Andreotti, Gianni Agnelli e Paolo Emilio Taviani) e cinque Giudici della Corte costituzionale: nel 1986 Antonio Baldassarre, nel 1987 Mauro Ferri, Luigi Mengoni ed Enzo Cheli, nel 1991 Giuliano Vassalli. Francesco Cossiga nacque a Sassari il 26 luglio 1928 da una famiglia medio-borghese repubblicana e anti-fascista. Era cugino di secondo grado di Enrico e Giovanni Berlinguer (figli di una cugina della madre di Cossiga). Nonostante egli fosse comunemente chiamato "Cossìga", la pronuncia originaria del cognome è "Còssiga". Si tratta d'un casato sardo di nobiltà di toga che a suo dire aveva esponenti collegati ad una loggia massonica locale. Còssiga, in dialetto sassarese significa Corsica e indica la probabile provenienza della famiglia. A sedici anni si diplomò, in anticipo di tre anni, al Liceo classico «Azuni»; l'anno successivo si iscrisse alla Democrazia Cristiana e tre anni dopo, a soli 19 anni e mezzo, si laureò in giurisprudenza, iniziando una carriera universitaria che gli sarebbe in seguito valsa l'insegnamento della materia di diritto costituzionale regionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Sassari.
Il grado militare
Era Capitano di fregata della Marina Militare per nomina presidenziale di Giovanni Leone, ma era più noto per il suo precedente grado di Capitano di corvetta, sempre conseguito con provvedimento del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il 23 novembre 1961; il fatto emerse pubblicamente quando nelle lettere di un magistrato suicida, il cagliaritano Luigi Lombardini, vi si alluse come ad un soprannome usato dai fidatissimi del circolo presidenziale.
Inizi della carriera politica
Iscritto alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, negli anni universitari ha fatto parte della FUCI con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale. Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966); titolare del ministero era Roberto Tremelloni. In questa veste presiedette all'apposizione degli "omissis" sul rapporto Manes, una relazione sull'operato del servizio segreto militare oggetto di esame da parte della commissione ministeriale di inchiesta sul piano Solo, che la Commissione parlamentare sul SIFAR ricevette dal Governo pesantemente censurata "per esigenze di segreto militare"; secondo Lino Jannuzzi, che con Eugenio Scalfari aveva condotto una campagna contro il generale Giovanni De Lorenzo, ideatore del piano, Cossiga stesso gli avrebbe rivelato il suo ruolo nella depurazione del testo di Manes. Dal novembre 1974 al febbraio 1976 fu Ministro per l'organizzazione della pubblica amministrazione nel Governo Moro IV. Il 12 febbraio 1976, a 48 anni, divenne Ministro dell'interno.
Ministro dell'interno
L'11 marzo 1977, nel corso di durissimi scontri tra studenti e forze dell'ordine nella zona universitaria di Bologna venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; alle successive proteste degli studenti, Cossiga, allora titolare del Ministero dell'interno, rispose mandando veicoli trasporto truppe blindati (M113) nella zona universitaria. A seguito di ciò, visto il clima di violenza e i toni sempre più accesi, in particolare dei soggetti appartenenti all'area extra-parlamentare, Francesco Cossiga diede disposizioni per vietare in tutto il Lazio, fino al successivo 31 maggio, tutte le manifestazioni pubbliche. Nonostante il divieto, grandi gruppi di militanti diedero comunque il via a manifestazioni di protesta, anche a Roma, a seguito della morte per colpi d'arma da fuoco della studentessa romana Giorgiana Masi sul Ponte Garibaldi, durante una manifestazione radicale . Il nome del ministro venne storpiato dagli studenti: con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste (sowilo, lettera dell'alfabeto runico), in una forma somigliante a Ko??iga. Nel gennaio 1978 Cossiga contribuì alla riforma dei servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007, e sostenne la creazione dei reparti speciali antiterrorismo della Polizia NOCS e dei Carabinieri GIS.
Il terrorismo e il caso Moro
Nel marzo 1978, quando fu rapito Aldo Moro dalle Brigate Rosse, creò rapidamente due "comitati di crisi", uno ufficiale e uno ristretto, per la soluzione della crisi. Molti fra i componenti di entrambi i comitati sarebbero in seguito risultati iscritti alla P2; ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di ingegner Luciani. Tra i membri anche lo psichiatra e criminologo Franco Ferracuti. Cossiga richiese ed ottenne l'intervento di uno specialista statunitense, il professor Steve Pieczenik, il quale partecipò ad una parte dei lavori. Circa la presunta fuga di notizie per la quale le BR parevano a conoscenza di quanto si discutesse nelle stanze riservate, Pieczenik ebbe ad affermare nel 1994 che aveva via via richiesto di ridurre progressivamente il numero dei partecipanti alle riunioni. Rimasti solo Pieczenik e Cossiga, affermò lo statunitense «la falla non accennò a richiudersi». Cossiga in seguito non smentì, ma parlò di «cattivo gusto». Non fu mai aperta alcuna trattativa con i sequestratori per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse a Cossiga dicendogli che «esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica». Cossiga diede le dimissioni da ministro dell'Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Michelangelo Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle [a causa della vitiligine, ndr] è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro». Cossiga, dopo forse questi fatti, cominciò a soffrire di numerosi problemi di salute cronici, come il disturbo bipolare (ciclotimia, secondo Indro Montanelli) e la sindrome della fatica cronica. Riguardo al comportamento tenuto durante gli anni di piombo, ma non solo, Cossiga divenne noto nei decenni successivi per alcuni ripensamenti e autocritiche, ammettendo anche di aver usato agenti provocatori, fino ad approdare a posizioni garantiste (estese ad altri ambiti dopo i fatti di Mani pulite) e persino a riconoscere lo status di legittimi nemici politici e "sovversivi di sinistra", al posto di quello di criminali comuni, ai terroristi rossi stessi, come affermato in una lettera inviata all'ex brigatista Paolo Persichetti nel 2002 e poi pubblicata. Della stessa intonazione una lettera inviata a un avvocato francese, divenuta nota perché allegata nella decisione di non estradizione di Cesare Battisti dal Brasile (2009). Dagli anni '90 in poi si fece promotore di un'amnistia politica per i reati compiuti in quegli anni. Famosa sarà la sua amicizia con Toni Negri, ex leader di Potere Operaio latitante in Francia e che Cossiga andò poi a trovare in carcere.
Presidente del Consiglio dei Ministri
Appena un anno dopo, il 4 agosto 1979, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri rimanendo in carica fino all'ottobre del 1980. Nel corso dei due brevi esecutivi guidati da Francesco Cossiga il Parlamento italiano approvò la legge che avrebbe consentito al Governo Craxi nel 1983 di installare gli euromissili a Comiso. Fu la più importante azione di politica estera del presidente Cossiga, decisione che anticipò, in qualche maniera, il sodalizio tra l'Italia e la Germania Occidentale guidata da Helmut Schmidt. Episodio poco noto alla storia delle relazioni internazionali ma di importanza strategica per il futuro dell'Italia. In veste di Presidente del Consiglio, Cossiga fu proposto dal PCI per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune, con una procedura conclusasi nel 1980 con l'archiviazione. L'accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio. Cossiga fu sospettato di aver rivelato a un compagno di partito, il senatore Carlo Donat Cattin, che suo figlio Marco era indagato e prossimo all'arresto, essendo coinvolto in episodi di terrorismo, suggerendone l'espatrio. Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l'accusa, che era stata fatta procedere da parte della magistratura di Torino in seguito alle dichiarazioni del terrorista pentito Roberto Sandalo (Sandalo, soprannominato il "piellino canterino" perché fu uno dei primi pentiti dell'organizzazione terroristica Prima Linea, aveva infatti riferito che in una conversazione con Marco Donat Cattin quest'ultimo gli avrebbe parlato dell'imminenza del suo arresto, appresa da fonti vicine al padre). Nel denunciare il favoreggiamento personale il PCI guidato da Enrico Berlinguer fu assai deciso nel ritenere che Cossiga fosse la fonte della fuga di notizie sulle indagini sui terroristi. Una possibile spiegazione di tanta certezza è offerta dalla nuova ricostruzione della vicenda offerta in un libro e confermata in un'intervista del 7 settembre 2007 dallo stesso Cossiga ad Aldo Cazzullo del Corriere della sera: Cossiga ha infatti ammesso (vent'anni dopo i fatti con il reato ormai caduto in prescrizione) parte dell'addebito, ma - soprattutto - ha rivelato che lui stesso informò il cugino Berlinguer del fatto, attendendosi comprensione ed ottenendo invece che la notizia venisse utilizzata per una battaglia politica contro di lui.
Presidente del Senato
Dopo un periodo in cui non ricopre alcun incarico governativo né di partito, pur continuando il suo impegno di deputato, nel 1983 viene eletto al Senato nel collegio Tempio-Ozieri. Il 12 luglio è eletto Presidente del Senato.
Presidente della Repubblica
Nel 1985 divenne l'ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana, l'elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente. Primi cinque anni La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi riferite agli atteggiamenti assunti dal capo dello Stato. Nei primi cinque anni Cossiga svolse il suo ruolo in maniera tradizionale, preoccupandosi di esercitare la funzione di perno delle istituzioni repubblicane previsto dalla Costituzione, che fa del presidente della Repubblica una sorta di arbitro nei rapporti tra i poteri dello Stato. Ebbe modo anche di stimolare una migliore comprensione e configurazione di alcune funzioni presidenziali suscettibili di ambiguità interpretative, come il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo (da cui derivò la nomina della Commissione Paladin) e il potere di scioglimento delle Camere nel caso in cui il cosiddetto "semestre bianco", cioè quello conclusivo del mandato, coincida con la fine della legislatura, questione che indusse il Parlamento ad apportare un'apposita modifica all'articolo 88 comma II della Costituzione. Le «picconate» al sistema La caduta del muro di Berlino segnò l'inizio della seconda fase. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale. La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Iniziò quindi una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria e volutamente eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica, al solo scopo di dare delle «picconate a questo sistema», che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di mandato l'appellativo di «picconatore» (e di «grande esternatore»). Rimonta a quest'epoca l'abbandono, da parte sua, di uno dei più antichi tabù della politica democristiana, cioè quello che esorcizzava l'esistenza di illeciti: conformemente alla formazione "tavianea" della sua iniziale carriera politica, egli tenne moltissimo a dimostrare (quasi "pedagogicamente") agli italiani i costi che in termini di legalità aveva comportato il mantenimento della pace pubblica durante cinquant'anni di presenza in Italia del più forte partito comunista d'Occidente. Per converso, la caduta del muro di Berlino - da lui percepita come svolta epocale prima di molti altri statisti italiani, tanto da essere stato l'unico politico romano a presenziare alla prima seduta del Bundestag dopo la riunificazione nel 1990 - fu per lui la vera giustificazione della riduzione dei margini di tolleranza dell'alleato nordamericano verso la classe politica italiana della "Prima Repubblica": si tratta di una tolleranza che lui percepì scemare quando la CIA interferì pesantemente (ed infruttuosamente) nelle vicende politiche delle massime istituzioni italiane, nel 1989, tentando di impedire l'ascesa di Giulio Andreotti a palazzo Chigi, probabilmente a causa della sua politica filoaraba. Tra le esternazioni del presidente vi erano anche le denunce di un'eccessiva politicizzazione della magistratura, e la stigmatizzazione del fatto che giovani magistrati, appena entrati in servizio, fossero da subito destinati alle procure siciliane per svolgere processi di mafia: «Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre un'indagine complessa come può essere un'indagine sulla mafia o sul traffico della droga. Questa è un'autentica sciocchezza». Qualche commentatore ritenne che quella frase si riferisse a Rosario Livatino, magistrato vittima della mafia, ma anni dopo, con una lettera ai genitori del giudice, Cossiga smentì quest'interpretazione. Per il suo mutato atteggiamento, Cossiga ricevette varie critiche e prese di distanza da parte di quasi tutti i partiti, ad eccezione del MSI che si schierò al suo fianco in difesa delle "picconate". Egli tra l'altro sarà ritenuto uno dei primi "sdoganatori" del MSI, al quale rivolse le scuse a nome dello Stato italiano per le accuse che erano state espresse nei suoi confronti all'indomani della strage di Bologna nel 1980. Molte critiche furono da lui espresse, anche in anni seguenti in cui mantenne lo stile del "picconatore", contro il comportamento del pool di Mani Pulite, in particolare contro Antonio Di Pietro, che precedentemente aveva elogiato. Non solo singoli giudici, ma anche la magistratura nel suo insieme venne attaccata da Cossiga, che affermò nel 2008 che «i primi mafiosi stanno al CSM... Sono loro che hanno ammazzato Giovanni Falcone negandogli la Dna e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via. Ero stato io a imporre a Claudio Martelli di prenderlo al ministero della Giustizia».
Cossiga e Gladio
Nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, Cossiga ricevette la delega, come Sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio, sezione italiana della rete Stay Behind, organizzazione segreta dell'Alleanza Atlantica (di cui facevano parte anche Austria e Svezia). Le asserite responsabilità di Cossiga nei confronti di Gladio furono confermate dal medesimo interessato che, ancora presidente, ammise con fierezza, in un'esternazione a Edimburgo nel 1990, la parte avuta nella sua messa a punto, in quanto sottosegretario al Ministero della Difesa tra il 1966 e il 1969[46] e si autodenunciò con un documento inviato alla Procura di Roma, in seguito alla denuncia dell'ammiraglio Martini e del generale Inzerilli come responsabili di Gladio. Nel documento dichiarò: «Rivendico in pieno la tutela di quarant'anni di politica della Difesa e della sicurezza per la salvaguardia dell'integrità nazionale, dell'indipendenza e della sovranità territoriale del nostro Paese nonché della libertà delle sue istituzioni, anche al fine di rendere giustizia a coloro che agli ordini del governo legittimo hanno operato per la difesa della Patria.»[46]. Sono differenti le versioni sui motivi che indussero il presidente del Consiglio Giulio Andreotti a divulgare la struttura segreta di Gladio: 1. Paolo Guzzanti, nel suo libro Cossiga, un uomo solo (Rizzoli, 1991) dedica un capitolo («La fiaba del giudice, del gatto e del primo ministro») alla chiave interpretativa di fonte cossighiana: la richiesta del giudice che indagava sulla strage di Peteano, Felice Casson, di accedere agli archivi del SISMI a Forte Braschi, sarebbe stata inopinatamente accolta dal presidente del consiglio Giulio Andreotti per dare luogo ad un regolamento di conti con il Capo dello Stato, da poco esternatore assai sgradito alla maggioranza DC; 2. lo stesso Cossiga, in una sua autobiografia, La versione di K (Rizzoli, 2009), scrive, riferendosi ad Andreotti: "Mi ha risposto che, ormai caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose. Tanto più, aggiunse, che aveva concesso al pm veneziano Felice Casson (…) il permesso di andare a vedere negli archivi dei Servizi Segreti: a quel punto c'era poco da sperare che non avrebbe ricostruito tutto" (pag. 158). Vi sono state differenti valutazioni politiche sul suo coinvolgimento nella vicenda di Gladio. Mentre Cossiga ha dichiarato che sarebbe giusto riconoscere il valore storico dei gladiatori così come era avvenuto per i partigiani, il presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino ebbe a scrivere: «[...] se in sede giudiziaria un'illiceità penale della rete clandestina in sé considerata è stata motivatamente e fondatamente negata, non sono state affatto escluse possibili distorsioni dalle finalità istituzionali dichiarate della struttura, che ben possono essere andate al di là della sua già evidenziata utilizzazione a fini informativi...».
La richiesta di messa in stato di accusa
Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell'allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga, con diversi capi d'accusa. Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli. Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse (tra cui venne aggiunta quella di aver abusato della propria carica quando propose unilateralmente la grazia per il fondatore delle BR Renato Curcio) manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993. La Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal Tribunale dei ministri. Cossiga scrisse: « Il Partito comunista sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. (…) Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io, (…) fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica. » (Francesco Cossiga, La versione di K, pag. 159)
Le dimissioni
A seguito delle elezioni del 5 aprile, prendendo atto della sconfitta del sistema consociativo fondato sul pentapartito che pure egli aveva sostenuto al fine di «combattere il degrado economico e il terrorismo», deciso a dare un colpo all'immobilismo e alla debolezza dei governi sottoposti alle «estenuanti liturgie e alchimie partitiche», Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile, alla fine del quale giunse a commuoversi: « C'è chi approverà il mio gesto, chi questo gesto non lo approverà, ma spero che tutti lo consideriate un gesto onesto di servizio alla Repubblica. […] Ai giovani io voglio dire però ... di amare la Patria, di onorare la nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro Paese. » (Francesco Cossiga, dal discorso del 25 aprile 1992) Fino al 25 maggio, quando al Quirinale fu eletto Oscar Luigi Scalfaro, le funzioni presidenziali furono assolte, come previsto dalla Costituzione, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini. Pochi mesi prima, a gennaio, Cossiga aveva già lasciato la Democrazia Cristiana, suo partito di provenienza.
Senatore a vita
XI e XII legislatura Come preannunciato, Cossiga abbandonò la DC e si iscrisse al gruppo misto del Senato, partecipando saltuariamente ai lavori parlamentari e concedendo il proprio voto di fiducia ai governi Amato, Ciampi, Berlusconi e Dini. XIII legislatura Anche nella legislatura iniziata nel 1996 Cossiga decise in un primo momento di rimanere defilato, pur contribuendo col suo voto alla fiducia al primo Governo Prodi. Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'Unione Democratica per la Repubblica (UDR), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane. L'UDR raccolse l'adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico. Tra coloro che aderirono all'UDR ci furono anche Carlo Scognamiglio, Angelo Sanza e Pellegrino Capaldo. Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, che venne battuto alla Camera per un voto, Cossiga fu determinante per la formazione del governo D'Alema I. Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa all'uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI. Massimo D'Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell'ex PCI. Per l'occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti. Nel frattempo il senatore dell'opposizione Marcello Pera (Forza Italia) ricordava polemicamente le origini di Cossiga in Barbagia, luogo dove vivevano i latitanti rapitori dell'Anonima sequestri, definendolo barbaricino ladro di voti, a cui Cossiga rispondeva ricordando le proprie origini familiari, "contrariamente a chi ha un cognome di cosa, come si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota". L'UDR entrò anche a far parte del governo D'Alema con Carlo Scognamiglio, nominato Ministro della difesa. Sempre nel 1998, Cossiga fu chiamato a testimoniare nel processo che a Palermo vedeva Giulio Andreotti imputato per associazione mafiosa. Cossiga fu particolarmente accalorato nel difendere l'ex Presidente del Consiglio, descritto come "assatanato nella lotta alla mafia". Al termine del lungo iter giudiziario fu accertata la connivenza di Andreotti con la mafia per fatti anteriori al 1980. Il senatore fu assolto per i fatti successivi a tale data e prescritto per quelli precedenti. XIV legislatura Dopo un anno di vita, l'UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l'UDEUR. Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie. Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato. Nel 2003 pubblica Discorso sulla giustizia, un pamphlet che raccoglie alcuni fra i suoi scritti in tema di giustizia su argomenti quali il delicato rapporto fra primato del Parlamento da un lato e indipendenza della magistratura dall'altro, e quello della problematica conciliabilità fra politicizzazione del magistrato e imparzialità della giurisdizione. Il suo progetto per una riforma utopica si accompagna ad altri interventi che Cossiga, cogliendo occasione da vicende giudiziarie e politiche di rilevanza nazionale, ha svolto in sede parlamentare, e non diffusi al di fuori del circuito degli addetti ai lavori. Nel 2004 fece alcune affermazioni (riprese nel 2007, quando vennero ribadite poi nell'autobiografia La versione di K) sulla strage di Bologna: in una lettera indirizzata a Enzo Fragalà, capogruppo di Alleanza Nazionale nella commissione Mitrokhin ipotizza un coinvolgimento del terrorismo palestinese, nella strage che lui stesso dichiarò "fascista", salvo poi cambiare idea nel 1990, affermando che fu mal consigliato dai servizi segreti che lo indirizzarono sulla pista nera in maniera erronea. Il Presidente emerito affermò di avere “il dubbio grave” che la strage fosse il risultato «o di un atto del terrorismo arabo o della fortuita deflagrazione di una o più valigie di esplosivo trasportato da palestinesi, che si credevano garantiti dall'“accordo Moro”». Nel 2008 Cossiga ha reiterato questa affermazione in un'intervista al Corriere della Sera in cui ribadiva la sua convinzione secondo cui la strage non sarebbe da imputarsi al terrorismo nero, ma ad un "incidente" di gruppi della resistenza palestinese operanti in Italia. Allo stesso tempo smentì più volte di avere sostenuto tesi complottiste sugli attentati dell'11 settembre 2001, voci diffuse soprattutto su internet, tesi che lui stesso riferì nuovamente qualche anno più tardi in un comunicato, in realtò di tono ironico, pubblicato dal Corriere della Sera, ma ripreso anche da organi di informazione internazionali. XV legislatura Il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga Cossiga ha collaborato attivamente con diversi quotidiani, scrivendo anche sotto lo pseudonimo "Franco Mauri" per Libero e "Mauro Franchi" per Il Riformista. Alla fine del 2005 ha pubblicato sul quotidiano Libero una lettera nella quale ha annunciato di non volersi più occupare attivamente della politica italiana, ma non pare avervi dato pienamente seguito. Il 15 maggio 2006 presenta in Senato il DDL Costituzionale n. 352, per la riforma delle istituzioni Sarde ed il riconoscimento della Nazione Sarda. Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II. Il 23 maggio 2006 ha presentato un disegno di legge costituzionale, (dopo la sua morte, mai più discusso) per l'attuazione di un referendum sull'autodeterminazione della provincia di Bolzano. Il referendum prevedeva più quesiti: se si voleva restare a far parte della Repubblica Italiana, se si voleva diventare parte di quella austriaca, se si voleva diventare un Land della Germania o se si voleva diventare uno Stato sovrano. Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi «ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale». Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio 2007: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12. L'intera vicenda si è sviluppata in seguito a un'interpellanza parlamentare del mese di novembre 2006 nella quale il presidente emerito richiedeva al ministro dell'Interno Giuliano Amato di chiarire i motivi del pagamento di due giornalisti da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza, diretto dal prefetto Gianni De Gennaro. Data la non immediata disponibilità a chiarire direttamente la vicenda da parte del ministro Amato, in aula venne letta una risposta scritta da De Gennaro. Non condividendo il comportamento tenuto dal Ministro, Cossiga ribatteva con una delle sue note picconate: «[Ha preferito rispondere] lo scagnozzo di quel losco figuro (tale Roberto Sgalla) del capo della polizia che si chiama Gianni De Gennaro [...]». Nella stessa data, prima del voto di cui sopra, Francesco Cossiga ha presentato pubbliche scuse allo stesso De Gennaro. Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l'esecutivo aveva posto la questione di fiducia. Sempre nel 2007 è stato componente del comitato promotore del pensiero di Antonio Rosmini, in occasione della sua beatificazione avvenuta il 18 novembre 2007. Lo stesso anno ha ottenuto dalla Sacra Rota la dichiarazione di nullità del suo matrimonio con Giuseppa Sigurani (durato 33 anni), e dalla quale aveva divorziato già nel 1998. Ha anche rilasciato dichiarazioni sulla strage di Ustica, all'epoca della quale era presidente del Consiglio, attribuendo la responsabilità del disastro a un missile francese «a risonanza e non ad impatto» destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato il dittatore libico Gheddafi. Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Corte di cassazione, della condanna al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime inflitta in sede civile ai ministeri dei tra
L'interesse per l'esoterismo e la massoneria
Negli ultimi anni della sua vita, Cossiga ha sviluppato una vera e propria passione e interesse per libri e argomenti trattanti la massoneria e l'esoterismo. È nota la sua amicizia con Armando Corona, ex Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1982 al 1990 e membro dell'UDR di Cossiga, oltre al fatto che la stessa famiglia di Cossiga vanta numerosi suoi membri iscritti alla Gran Loggia d'Italia, nel Rito scozzese antico ed accettato, tra cui il nonno di Cossiga. Nel corso degli anni, contemporaneamente al riemergere di inchieste trattanti stragi e fatti legati alla strategia della tensione in Italia degli anni '70 - approfondimenti giornalistici che hanno riguardato molte volte lo stesso Cossiga, avendo egli ricoperto più volte le cariche di Sottosegretario all'Interno, poi Ministro dell'Interno e Presidente del Consiglio dei ministri - si è affermato talvolta che anche Cossiga si fosse affiliato alla Massoneria, addirittura, di essere iniziato al 33º grado (il grado più alto dopo Maestro e Gran Maestro) del citato rito Scozzese[, come era suo nonno. Queste voci sono legate anche alle sue dichiarate fedeltà atlantiste e alla sua vicinanza con uomini degli apparati militari della NATO, ma sono sempre state smentite dallo stesso Cossiga, affermando di non poter «essere massone perché sono cattolico, e credo fermamente che le due condizioni siano incompatibili», anche se disse di conoscere moltissimi massoni e di aver tentato, tramite Licio Gelli, di intercedere presso il generale argentino Emilio Eduardo Massera per i desaparecidos italiani, con scarsi risultati.
La morte
Ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma il 9 agosto 2010, vi muore il 17 agosto a seguito di un infarto e di problemi respiratori. Dopo la sua morte, vengono aperte quattro lettere che Cossiga aveva indirizzato alle quattro massime autorità dello Stato in carica al momento della sua morte. I funerali si sono svolti nella sua città natale presso la Chiesa di San Giuseppe. Cossiga è sepolto nel cimitero comunale di Sassari, nella tomba di famiglia, poco distante dalla tomba di Antonio Segni.