Industria
L'attività estrattiva
L’industria estrattiva appartiene a quel complesso di attività economiche che rendono disponibili sul mercato le materie prime naturali, tuttavia si differenzia dai settori primari (agricoltura, caccia, silvicoltura, piscicoltura) in quanto le risorse minerarie sono collocate in luoghi fissi stabiliti da vicissitudini geologiche. L’origine e lo sviluppo dell’industria estrattiva è dunque decisamente connesso alla localizzazione geografica delle materie prime (minerarie). L’analisi delle caratteristiche strutturali e delle dinamiche dell’industria estrattiva della Sardegna è passata pertanto attraverso l’individuazione delle principali aree d’origine e di produzione delle diverse tipologie di sostanze minerarie, effettuando una distinzione tra le attività di estrazione di minerali energetici (petrolio, gas naturale, i carboni fossili, i fluidi geotermici, ecc.) e quelle relative ai minerali non energetici (minerali metalliferi e non metalliferi).
L’attività estrattiva energetica si riferisce a quei minerali la cui destinazione naturale è costituita dalla produzione di energia e calore. I dati di livello mondiale (2004) indicano l’Arabia Saudita quale maggiore produttore mondiale di petrolio (12,4%), la Cina quale maggiore produttore mondiale di Carbone (37,4%) e l’ex Unione Sovietica di gas naturale (28%). Per quanto riguarda le risorse geotermiche, sebbene siano una fonte rinnovabile e praticamente inesauribile, il loro impiego è ancora piuttosto limitato in raffronto alle altre fonti energetiche. Attualmente vi sono però alcuni paesi, tra cui le Filippine, El Salvador, Islanda, Nicaragua e Costa Rica, che producono dal 10% al 22% della loro energia elettrica con la geotermia.
L’attività estrattiva di minerali non energetici si distribuisce, a livello mondiale, in gran parte dei paesi, in particolare Stati Uniti, Canada, Australia, Russia, Cina. In Europa è presente sul territorio in modo diversificato per le diverse tipologie di minerali: metalliferi, industriali e materiali da costruzione. L’Europa è oggi fortemente dipendente dall’esterno per una gran parte di metalli , sebbene alcuni paesi europei abbiano significative produzioni di alcune tipologie di minerali metalliferi: il 10% della produzione mondiale di argento è localizzata in Europa e in particolare in Polonia (7%); il 9,4% della produzione mondiale di zinco è europea, nello specifico in Irlanda (4,7%); l’8,7% della produzione mondiale di titanio in Norvegia; seguono il piombo (Irlanda, Polonia e Svezia), il rame (Polonia), il cromo (Finlandia e Turchia), il tungsteno (Austria e Portogallo), il ferro (Svezia), l’alluminio e il nichel (Grecia). Per questa tipologia di minerali l’industria europea è sottoposta ad una elevata concorrenza mondiale, rappresentata soprattutto da imprese di alto livello, che offrono prodotti a basso costo sul mercato internazionale.
Per i minerali industriali, l’Europa detiene delle quote di produzione, sul totale mondiale, piuttosto elevate, specialmente se confrontate con quelle dei minerali metalliferi. La produzione è spesso dominata da un solo o da pochi paesi, mentre la maggior parte è tuttora dipendente dalle importazioni. Il 49% della produzione mondiale di feldspato è localizzata in Europa e in particolare in Italia (19%); il 33,7% della produzione mondiale nazionale con una quota dello 0,4% (anno 2003 su va lori costanti) ed occupa lo 0,2% degli addetti nazionali (anno 2003). In valore assoluto si tratta di circa 39.000 occupati. Le imprese estrattive che, nel 2005, risultano iscritte, e attive, nel Registro delle Imprese della Camera di Commercio, costituiscono solamente lo 0,1% del totale nazionale (composto da circa 5 milioni di imprese).
Si tratta di 4.224 attività estrattive a fronte di 2,7 milioni di imprese che operano nei servizi (53,8%), 963 mila imprese nell’agricoltura (18,8%), 3 mila imprese nella produzione di energia gas e acqua (0,1%) e 640 mila imprese manifatturiere (12,5%) che potenzialmente utilizzano le materie prime minerarie nella loro attività di trasformazione. Delle 4.224 imprese estrattive attive individuate nel Registro Imprese (2005), il 2,4% rientra nel ramo energetico, il 97,6% in quello non energetico e, in particolare, in quello dell’estrazione dei minerali non metalliferi (96,7%). Il sub-settore dell’estrazione dei minerali dei metalli risulta poco rilevante con lo 0,9% delle imprese. Si osserva tuttavia che, sebbene il sub-settore dell’industria estratti va non energetica, e in particolare quello dei minerali non metalliferi, sia il più consistente (per imprese e addetti), il maggior contributo alla produzione del valore aggiunto nazionale del settore estrattivo deriva dal ramo delle attività di estrazione energetiche (petrolio grezzo e gas naturale). Per quanto riguarda la diffusione sul territorio nazionale delle attività del settore individuate nel Registro Imprese (2005), il 53% risulta concentrato in 6 regioni: Lombardia, Sicilia, Puglia, Veneto, Toscana e Piemonte.
Questa distribuzione territoriale è sostanzialmente determinata dal ramo dei minerali non metalliferi, che, come visto, è il più consistente del comparto. E’ bene ricordare che si sta parlando della sede legale dell’impresa. Tuttavia, se si fa riferimento alle unità locali delle imprese, il Censimento dell’Industria e dei Servizi Istat (2001) individua 5.430 unità locali estrattive, e riproduce in parte la distribuzione già vista per le imprese. In Lombardia, Toscana, Veneto, Piemonte, Sicilia e Puglia si localizza il 53,4% delle unità locali estrattive nazionali ed il 53,4% degli addetti. Il Censimento Istat (2001) registra inoltre una specializzazione produttiva della Sardegna, in termini di unità locali e addetti alle unità locali estrattive presenti nel territorio regionale. Nell’Isola, si trova il 7,3% delle unità locali estrattive nazionali (il 7,1% per i minerali non metalliferi) e il 9,4% degli addetti alle unità locali nazionali del comparto (6,5% per i minerali non metalliferi). Il peso delle unità locali e degli addetti alle unità locali dell’estrattivo sardo sull’intero sistema (industria e servizi) regionale, è il più elevato rispetto al corrispondente valore delle altre regioni italiane.
Se poi si ragiona in termini di attività di “miniera” (I° categoria) e attività di “cava” (II° categoria), definite tali dalla legge mineraria nazionale (R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, art.2), le informazioni diffuse dall’APAT (Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i servizi tecnici), dall’UNMIG (Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e la geotermia) rafforzano le precedenti affermazioni sulla diffusione territoriale e sulla specializzazione della Sardegna. Nel 2005 risultano in Italia 199 concessioni, per siti minerari di prima categoria, in reale produzione (escluse le fonti energetiche fluide e delle sorgenti di acque minerali e/o termali). Tali siti sono localizzati principalmente in Piemonte (17,1%), Sardegna (16,6%), Veneto (13,6%), Toscana (12,1%) e Lombardia (11,1%), che insieme costituiscono il 70,5% dei siti estrattivi di prima categoria attivi in Italia. Il 47,7% dei siti minerari nazionali di I° categoria estrae minerali ceramici, il 17,6% marna da cemento, il 16% i minerali per l’industria. Per quanto riguarda le fonti energetiche fluide, al 2005, si contano sul “territorio” nazionale 199 concessioni di coltivazione (133 in terraferma e 66 in mare).
Le Regioni con un maggior numero di titoli minerari sono: Emilia Romagna (36 concessioni ), Basilicata (20 concessioni), Marche (17 concessioni), Puglia (15 concessioni), Lombardia (14 concessioni), Sicilia (13 concessioni), le altre regioni presentano un numero di concessioni inferiore a 7. Per i minerali di II° categoria, le informazioni disponibili sono meno recenti e riferite a periodi diversi. Tuttavia, vengono confermate le priorità regionali: in Sicilia, Veneto, Puglia, Toscana, Lombardia e Sardegna, si concentra il 58% delle cave (3.534 unità), con il 58% degli addetti (13.684 unità) e il 55% del materiale estratto (227 milioni di tonnellate). Il comparto estrattivo nazionale ha segnato negli ultimi decenni un drastico ridimensionamento. Le statistiche sulle principali macrovariabili economiche - valore aggiunto, occupati, investimenti fissi – registrano tra il 1995 e il 2003, per il ramo estrattivo una diminuzione nella produzione di valore aggiunto (-11,5% con un decremento medio annuo dell’1,5%.) e nell’occupazione (-11,9% con un decremento medio annuo dell’1,6%). Gli investimenti fissi sono invece aumentati del 4,8% con un incremento medio annuo dello 0,7%.
Lo scenario nazionale e internazionale appena delineato, permette di interpretare, in maniera più adeguata e consapevole, le informazioni ed i numeri relativi all’industria estrattiva della Sardegna, a partire dalla sua storia mineraria. La Sardegna possiede una storia mineraria di grande rilievo, che, con alterne vicende, esprime l’importanza del ruolo svolto dall’industria estrattiva locale sia nell’economia nazionale che nello sviluppo economico, culturale e politico dell’Isola. La nascita e lo sviluppo dell’industria estrattiva in Sardegna ha infatti segnato il passaggio da un'organizzazione sociale chiusa ed arretrata, prevalentemente agropastorale, ad una società rivolta allo sviluppo produttivo (di tipo capitalistico), con la nascita della classe operaia.
Lo sfruttamento delle risorse minerarie della Sardegna e la loro lavorazione, affondano le radici in tempi remotissimi: l’origine viene fatta risalire al periodo neolitico (6000 a.c.), con l’attività di estrazione dell’ossidiana (Monte Arci). Nella civiltà nuragica (dal 1700 a.c. al II sec. d.c.) si diffusero le conoscenze metallurgiche, si ha un primo utilizzo dei metalli (rame, stagno) per la costruzione di utensili e, con l’arrivo dei Fenici, si diede inizio anche allo sfruttamento del ferro e dell’argento. L’attività estrattiva sarda iniziò però a crescere all’epoca della dominazione romana (238 a.c.): le miniere (soprattutto i giacimenti di piombo e argento) venivano lavorate sia dai romani, come privati, che dallo Stato che vi condannava gli schiavi e chi commetteva gravi delitti. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.c.), la successiva dominazione dei Vandali e dei Bizantini, e le frequenti incursioni degli Arabi, determinarono un periodo di stasi delle attività di estrazione. Solo dopo l’anno 1000, scacciati gli Arabi con l’aiuto delle Repubbliche Marinare (Genova e Pisa), riprese l’interesse per le miniere sarde. Dal XIV al XVIII secolo con la dominazione aragonese prima e spagnola poi, l'attività mineraria della Sardegna, che per secoli era stata tra le più importanti aree di produzione dell'argento, conobbe una forte decadenza, e la Sardegna finì per importare il prezioso metallo, che ormai arrivava in grandi quantità dai possessi spagnoli del nuovo mondo. Il periodo più significativo per la storia mineraria della Sardegna inizia con la nascita del Regno di Sardegna (1720) e durante il dominio Sabaudo.
Lo Stato Sabaudo diede un forte impulso allo sviluppo minerario dell’isola quando, nel 1848, estese alla Sardegna la legge mineraria del 30 giugno 1840, che prevedeva la separazione della proprietà del sottosuolo, che spettava di diritto allo Stato, da quella del suolo che rimaneva ai privati, e con cui si attribuiva il diritto di sfruttare direttamente o dare in concessione il sottosuolo. Le nuove condizioni giuridiche, insieme alla crescita economica nel continente europeo con la sua continua richiesta di materie prime, richiamarono nell’isola grandi capitali (e numerosi imprenditori) stranieri e italiani. In Sardegna, infatti, non vi era una classe imprenditoriale che fosse in grado, sia dal punto di vista delle conoscenze tecniche che da quello finanziario, di sfruttare le miniere. Nacquero numerose società minerarie, la maggior parte a capitale non sardo. L’ormai nato Stato italiano continuò ad adottare una politica di apertura verso gli stranieri, senza alcun protezionismo nazionale, nella considerazione che l’economia mineraria richiede grandi investimenti, saperi tecnici avanzati e trasformazioni strutturali.
Gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento furono caratterizzati dai massicci investimenti nel settore minerario sardo dei grandi capitali europei e italiani, dagli enormi progressi tecnologici ed economici che portarono la Sardegna all’interno delle strategie industriali europee. Sino al primo conflitto mondiale la produzione continuò a crescere, poi l’impossibilità di esportare il minerale nei mercati tedesco, francese , inglese e belga, determinò una crisi delle miniere sarde, a cui seguì anche la crisi del 1929 (il crollo della borsa statunitense). Le miniere sarde ripresero sviluppo negli anni trenta con il regime autarchico del periodo fascista, che insieme al bisogno sempre maggiore di metalli per gli armamenti, portarono alla ripresa delle miniere, anche quelle abbandonate poiché antieconomiche. La stessa ricostruzione post-bellica non poteva prescindere dall’industria mineraria. Negli anni ’50 la Sardegna, grazie al peso dell’industria estrattiva, presentava un elevato livello di industrializzazione, in contrasto peraltro alla sua immagine di regione esclusivamente agropastorale.
E, sino alla metà degli anni ’60, le miniere furono, tra alti e bassi, un settore trainante dell’economia sarda. Successivamente entrarono in crisi: il declino era da attribuire agli alti costi di produzione che rendeva il minerale sardo poco competitivo sul mercato, alla diminuzione del valore dei metalli e infine al fatto che i filoni di maggior valore erano ormai esauriti. A partire dagli anni ‘60 l’industria estrattiva sarda ha dunque subito profonde trasformazioni, passando dalla produzione tradizionale di minerali metalliferi (piombo, zinco) alla situazione attuale in cui prevalgono i minerali industriali e le rocce ornamentali. Attualmente, le attività estrattive della Sardegna occupano, come in passato, un ruolo importante nell’economia regionale e nazionale. La Sardegna mostra nel settore estrattivo, rispetto alle altre regioni, una specializzazione produttiva, sia in termini di attività presenti sul territorio che di addetti, oltre che per valore aggiunto prodotto. Se si raffronta il peso delle attività estrattive all’interno di ciascuna economia regionale, per la Sardegna risulta la maggiore rilevanza in un range di variazione per le unità locali da 0,1% a 0,4 %, e per gli addetti da 0,1% a 1,1% (Censimento Istat 2001).
Inoltre, il contributo delle attività estrattive sarde alla produzione del valore aggiunto regionale (0,5%) è superiore alla media nazionale (0,4%) e a quella del mezzogiorno (0,2%) (Conti Economici regionali Istat 2003). L’industria estrattiva sarda, nel 2003, ha prodotto 98 milioni di euro di valore aggiunto (valori costanti) pari allo 0,5% del valore aggiunto regionale, occupando 3.600 addetti pari allo 0,6% degli addetti regionali. Il valore aggiunto regionale prodotto dal comparto è determinato sostanzialmente dal suo ramo non energetico. Le imprese estrattive sarde che nel 2005 risultano attive e iscritte nel Registro delle Imprese della Camera di Commercio sono 241, lo 0,2% del totale imprese regionale. La gran parte di esse (99,2%) si colloca nel ramo dell’estrazione dei minerali non energetici e, in particolare quello dei minerali non metalliferi (95,9%), dove rientrano anche le pietre da costruzione (e quelle ornamentali). La categoria delle pietre da costruzione si colloca al primo posto per numero di imprese iscritte nel Registro Imprese al 2005 con il 74,7% delle imprese estrattive regionali; seguono i minerali industriali con l’11,6% e i minerali per la chimica (6,2%). Per quanto riguarda la diffusione territoriale delle attività del settore individuate nel Registro Imprese (2005), il 50,6% risulta localizzato nella provincia di Sassari, seguita da quella di Cagliari (23,7%), di Nuoro (17,4%) e di Oristano (8,3%). Questa distribuzione è sostanzialmente determinata dal ramo dei minerali non metalliferi, che, come visto, è il più consistente del comparto. E’ bene ricordare che si sta parlando della sede legale dell’impresa.
Tuttavia, se si fa riferimento alle unità locali d’impresa, il Censimento dell’Industria e dei Servizi Istat (2001) individua 398 unità locali estrattive con 3.485 addetti, e riproduce in parte la distribuzione già vista per le imprese: al primo posto la provincia di Sassari (51,8%), una discreta percentuale in quelle di Cagliari (21,6%) e di Nuoro (17,8%), chiude la provincia di Oristano (8,8%). Le statistiche sulle principali macrovariabili economiche - valore aggiunto, occupati, investimenti fissi – danno importanti indicazioni sulla rilevanza dell’industria estrattiva sarda, soprattutto se raffrontata con i dati medi nazionali e del mezzogiorno. Il valore aggiunto prodotto (valori costanti) dall’ industria estrattiva sarda, tra il 1995 e il 2003 è aumentato del 3,5% con un incremento medio annuo pari allo 0,4%. La media nazionale del comparto registra invece una diminuzione del -11,5% (-3,0% nel mezzogiorno) tra il 1995 e il 2003, con una variazione media annua del -1,5% (-0,4% nel mezzogiorno). La variabile occupazionale del comparto regionale mostra una diminuzione del 16,3% tra il 1995 e il 2003, con un decremento medio annuo del 2,2%. La diminuzione più consistente si è verificata tra il 2002 e il 2003 (-5,3%). Rispetto ai valori medi nazionali del comparto, il decremento occupazionale è più rilevante, mentre si attesta sui medesimi valori del mezzogiorno.
I valori nazionali registrano un decremento degli occupati del comparto dell’11,9% (-16,1% per il mezzogiorno) tra il 1995 e il 2003 con un decremento medio annuo dell’1,6% (-2,2% per il mezzogiorno). Gli investimenti fissi, tra il 1995 e il 2002 (ultimo anno disponibile) aumentano per il settore estrattivo del 140,5% tra il 1995 e il 2003 , con un incremento medio annuo del 13,4%. Questi elevati livelli di crescita negli investimenti del comparto, sembrano trovare conferma per il mezzogiorno, mentre a livello medio nazionale si registrano variazioni assai più limitate. Dall'analisi esplorativa condotta sui dati di bilancio è infine possibile cogliere alcuni comportamenti tipici delle imprese del settore, dal punto di vista economico-finanziario. E’ stata effettuata una selezione di società di capita le del comparto (228 bilanci in serie storica quadriennale) con sede legale in Sardegna e appartenenti al sub-settore dell’estrazione dei minerali non energetici. La performance delle imprese nel fatturato e nel valore aggiunto mostra, dopo un periodo non particolarmente favorevole, una discreta ripresa nel 2004, con crescita dei ricavi di vendita (+8,7%) e del valore aggiunto prodotto (+12,5%). Il comparto dell’estrazione delle pietre ornamentali presenta variazioni più consistenti nella crescita dei fatturati (+13,0%), sebbene lievemente inferiori nella produzione del valore aggiunto (+9,5%) rispetto al dato complessivo. E’ comunque presente la difficoltà a costruire utili aziendali: circa la metà delle società registra costi sistematicamente superiori ai ricavi e questo rende difficile il mantenimento della capacità produttiva ed un efficiente rinnovo dei macchinari e delle attrezzature. Tuttavia, nonostante le perdite di bilancio, le società più strutturate riescono ad operare grazie ai flussi di cassa mediamente positivi, seppur decrescenti, espressione di un bilanciamento favorevole tra entrate ed uscite monetarie rispetto al complesso dei capitali investiti.
(Fonte: Osservatorio Economico della Sardegna - LE INDUSTRIE ESTRATTIVE IN SARDEGNA - 2007)
Di Alex10 - Opera propria, CC BY-SA 3.0
Wikipedia (I castelli degli ascensori che portavano nei pozzi della miniera carbonifera di Serbariu, a Carbonia)
19/09/2007
Il decollo industriale
Il decollo industriale della Sardegna si ebbe a partire dal 1951 quando una particolare commissione di studi, lungamente attesa e prevista negli accordi inerenti allo Statuto speciale (art.13), fu incaricata di elaborare un piano di sviluppo economico nei vari settori produttivi dell'economia sarda. Molto lentamente tale commissione si mise in moto e solo nel 1958 presentò il rapporto finale, o meglio un'ipotesi di sviluppo. Le conclusioni di tale organismo però apparvero inadeguate alle necessità di sviluppo dell'isola e nel 1959 fu costituita un'altra commissione, con lo scopo di elaborare un piano più preciso che fu poi presentato l'anno successivo. Questa relazione finale evidenziava 18 settori economici prioritari ed in particolare quello industriale con un investimento, per lo Stato, minore di quello previsto dalla precedente commissione. Nel 2009 la Sardegna aveva un reddito a parità di potere di acquisto pari all'80,0 % della media dell'Unione europea; le regioni italiane più povere erano la Sicilia e la Calabria con il 68 %, le più ricche erano la Provincia autonoma di Bolzano con il 148 % e Valle d'Aosta e Lombardia con il 133 %. Tra le altre regioni insulari europee della fascia mediterranea le più ricche erano la piccola regione greca dell'Egeo Meridionale col 114 %, seguite dalle Isole Baleari col 110 %, da Madeira col 105 %, da Cipro col 100 %, dalla Corsica col 90 %, le Isole Canarie con l'87 %, Creta con l'85 %, Malta con l'82 %, le Isole Ionie con l'81%. Seguivano la Sardegna solo l'Egeo Settentrionale col 76 %, le Azzorre col 75 % e infine la Sicilia. Questi pochi dati, ad un'analisi superficiale e mettendo in conto solo le medie regionali, indicherebbero che all'interno di un paese con differenze regionali rilevanti rispetto ad altri dell'Unione europea il livello di benessere dei sardi non è fra i peggiori ma semmai tra i più elevati del mezzogiorno. Facendo invece il paragone con le altre regioni insulari della fascia mediterranea, pur non essendoci così elevate differenze, e considerando estensione territoriale e consistenza demografica (solo la Sicilia e le Canarie sono più popolose, tutte le altre hanno meno di un milione di abitanti), la situazione della Sardegna non appare particolarmente rosea. I limiti principali allo sviluppo economico della Sardegna sono quindi legati soprattutto alla carenza di infrastrutture, in particolare nei trasporti sia esterni che interni, al costo complessivo del lavoro e del denaro e alla pressione fiscale, che gravano in equal modo sulle regioni geograficamente più favorite, e che non permettono alle imprese sarde in qualsiasi settore di essere competitive in un mercato sempre più aperto. L'illusione di un'economia differenziata, con la difesa ad oltranza di distretti industriali obsoleti, ha distratto finanziamenti e risorse che potevano essere meglio impiegati nell'unico settore di punta, il turismo, in produzioni di nicchia ad alto valore aggiunto, soprattutto in agricoltura, e nella formazione professionale e ricerca nei settori trainanti per un loro ammodernamento.
Di Gfss84 di Wikipedia in italiano, CC BY 2.5
Wikipedia (Area industriale di Porto Torres (provincia di Sassari))
22/08/2007
L'industria attuale
La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore minerario) è principalmente dovuta all'apporto dei finanziamenti statali al Piano di rinascita concentrati soprattutto negli anni sessanta-settanta. La politica economica finalizzata all'accrescimento industriale si è caratterizzata in quel periodo con la formazione dei cosiddetti "poli di sviluppo" industriali, a Cagliari (Macchiareddu e Sarroch), Porto Torres e in un secondo momento a Ottana. Sono sorti così i complessi petrolchimici e le grandi raffinerie per la lavorazione del greggio, che si collocano attualmente tra le maggiori d'Europa[13], inoltre, sull'isola, si producono piattaforme petrolifere, per conto della Saipem. Altri settori industriali sono quello alimentare, legato alla lavorazione dei prodotti dell'allevamento (formaggi, latte, carni) e della pesca (lavorazione del tonno, manifatturiere, lavorazione del sughero, meccaniche (produzione di mezzi agricoli, cantieristica navale, componentistica per aeromobili), edìle e metallurgico. L'energia viene prodotta, in misura anche superiore al fabbisogno[19], da centrali idroelettriche alimentate dai bacini che raccolgono le acque dei fiumi, da centrali termoelettriche alimentate a carbone di importazione estera e da numerosissime centrali eoliche sparse sull'intero territorio isolano. In particolare si menziona il gruppo di centrali elettriche nell'area di Fiume Santo, che sorge su un'area di circa 150 ettari sul golfo dell'Asinara, con una potenza installata di 1.044 MW. L'area circostante, fortemente inquinata e adiacente a zone di indubbio interesse ambientale, non è stata sottoposta alle bonifiche necessarie richieste dalla popolazione e dagli organi competenti.
Saras - Opera Propria
Wikimapia (Impianti della raffineria della Saras)
17/07/2018